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Il museo

Costruire una nuova casa per le splendide metope (cioè i pannelli in pietra figurati) del Santuario di Hera alla foce del Sele. Questa la molla che, negli anni Trenta del secolo scorso, spinse l’allora soprintendente Amedeo Maiuri a commissionare il progetto del Museo di Paestum all’architetto Marcello de Vita.

Ma la guerra procrastinò l’inizio dei lavori, e l’edificio d’impronta razionalista fu inaugurato solo nel 1952. Da allora le metope svettano sulla cella costruita apposta perché i visitatori le ammirino “dal basso” come gli antichi.

Il museo, però, accolse anche tutti i materiali – esiti degli scavi nella città, nei santuari e nelle necropoli – che fino a quel momento erano stati ospitati nell’Antiquarium del settecentesco Palazzo De Maria, accanto alla Basilica Paleocristiana. E da subito le collezioni si arricchirono grazie alle importanti campagne di scavo del dopoguerra. Insomma non appena costruito, l’edificio del Museo era già troppo piccolo.

Il primo ampliamento, la Sala Metope, servì a ospitare nel 1959 le ulteriori metope e i molti altri materiali rinvenuti durante i nuovi scavi all’Heraion del Sele. Il secondo ampliamento è degli anni 1968-70: la cosiddetta Sala Santuari e altre sale che si affacciano sul Giardino di Hera – un cortile interno che richiama lo stile del grande architetto Carlo Scarpa – e con ampie vetrate consentono di spaziare con lo sguardo fuori dal museo verso i monti.

L’ultimo ampliamento è immediatamente successivo e noto a tutti: è servito a ospitare la famosissima Tomba del Tuffatore scoperta nel 1968. E proprio per “dialogare” idealmente col Tuffatore, l’allora soprintendente (e scopritore del Tuffatore) Mario Napoli commissionò all’artista Carlo Alfano un’opera che nel 1972 venne collocata nello spazio esterno antistante la sala.

Costituita da cinque cilindri di varie altezze (tre di plexiglass e due in acciaio) che palesemente richiamano in astratto le cinque lastre della tomba, è stata la prima installazione di arte contemporanea in un museo archeologico in Italia. E per diverso tempo, nel timore che non venisse capita, è stata descritta come una “fontana”. Cosa che Alfano non ha mai gradito.

Dalle antiche fondamenta al cielo stellato