Il nostro Dantedì è rappresentato dai centauri, figure mitologiche per metà uomini e per metà cavalli che hanno fama di essere litigiosi e violenti, vivono in un mondo “sommerso” quasi selvaggio, nei boschi, tra le montagne lontano dalle città, sfruttano le risorse della natura come radici ed erbe e conoscono preziosi segreti come quelli legati alla medicina.
Nel museo di Paestum sono custoditi diversi reperti che riguardano i centauri.
Nel santuario meridionale, è stato rinvenuto un cippo con dedica a Chirone, il centauro saggio, maestro di Achille, medico, astronomo e musico.
Anche sul tempio più antico di Hera alla Foce del Sele erano rappresentati i centuari, tra di essi vi era il centauro buono Pholos.
Nella Divina Commedia, quando Dante e Virgilio giungono alle porte del I girone incontrano tre centauri, sono proprio Chirone, Folo e Nesso; Virgilio chiede immediatamente di conferire con Chirone, identificato come capo, il quale incarica Nesso di prendere sulla groppa Dante e fargli guadare il fiume Flegetonte.
Ecco i versi che lo raccontano:
E quel di mezzo, ch’al petto si mira,
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;
quell’altro è Folo, che fu sì pien d’ira.
Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
saettando qual anima si svelle
del sangue più che sua colpa sortille».
Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:
Chirón prese uno strale, e con la cocca
fece la barba in dietro a le mascelle.
Quando s’ebbe scoperta la gran bocca,
disse a’ compagni: «Siete voi accorti
che quel di retro move ciò ch’el tocca?
Così non soglion far li piè d’i morti».
E ’l mio buon duca, che già li er’al petto,
dove le due nature son consorti,
rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto
mostrar li mi convien la valle buia;
necessità ’l ci ’nduce, e non diletto.
(Inferno XII, 70-87)